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sabato 13 agosto 2011

Scoperti geni complici sclerosi multipla



Studio di team internazionale, anche diversi scienziati italiani

Scritta la 'mappa genetica'' della sclerosi multipla: scoperti geni con un potenziale ruolo nell'insorgenza della malattia autoimmune. Pubblicata su Nature e Plos Genetics, la ricerca e' frutto del lavoro di un team internazionale di cui fanno parte anche molti scienziati italiani. Lo studio individua chiaramente il coinvolgimento del sistema immunitario nella sclerosi multipla e indirizza verso nuove strategie terapeutiche fornendo indizi su molecole implicate nella genesi della malattia. 
  
Fonte : Ansa

Tempesta magnetica in arrivo sulla Terra

Potente eruzione solare probabile minaccia a Telecomunicazioni

Tempesta magnetica in arrivo sulla Terra. Una delle tre macchie solari comparse negli ultimi giorni ha provocato una violenta eruzione che al momento non ha colpito direttamente il nostro pianeta ma, secondo gli esperti dell'osservatorio della Nasa Sdo, un secondo sciame di particelle liberato dalla stessa eruzione si starebbe dirigendo verso la Terra e potrebbe provocare danni ai satelliti in orbita alta. Le radiazioni potrebbero inoltre creare problemi nelle telecomunicazioni

 

venerdì 12 agosto 2011

I sali di potassio riducono la pressione


I sali di potassio riducono la pressione, afferma ricerca tedesca



Per tenere sotto controllo la pressione c'è bisogno di sale, di quello “buono” naturalmente. Una ricerca dell'Università tedesca di Wageningen ha analizzato l'uso dei sali di potassio in 21 paesi, scoprendo che l'eventuale aumento del loro consumo porterebbe come beneficio la riduzione della pressione, nella stessa misura prodotta dalla rinuncia al sale da cucina che usiamo abitualmente.
I risultati della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista Archives of Internal Medicine e dimostrano che il consumo medio dei sali di potassio va da 1,7 a 3,7 grammi giornalieri, una quantità notevolmente inferiore rispetto ai 4,7 grammi consigliati dagli esperti.
La dott.ssa Linda van Mierlo, che ha coordinato la ricerca, afferma: “se il consumo di potassio aumentasse fino al livello consigliato, la pressione sistolica dei cittadini di questi paesi calerebbe, con un effetto paragonabile alla

iduzione di 4 grammi al giorno di sale. Il bilancio fra introito di potassio e introito di sodio è infatti basilare nella prevenzione dell'ipertensione”.
Il legame fra sodio e potassio è ritenuto fondamentale per la gestione e la regolazione di una corretta pressione sanguigna. Il sodio ha l'effetto di aumentare la pressione in quanto attrae liquidi utili al suo assorbimento, con il conseguente affaticamento dell'apparato cardiovascolare. Al contrario, il potassio favorisce il riassorbimento del sodio, migliorando la funzionalità cardiaca.
Al consumo di sali di potassio è dunque legato un minor rischio di sviluppare forme ipertensive, pertanto è utile non solo limitare la quantità di sale comune nella preparazione dei cibi che mangiamo – la quantità ideale è intorno ai 5 grammi, mentre la media è del doppio – ma anche assicurarsi una buona percentuale di questo tipo di sale, come conferma la dott.ssa van Mierlo: “ridurre il sale e aumentare il potassio sono entrambi metodi validi per tenere la pressione sotto controllo”.
Per aumentare l'apporto di potassio bisogna prediligere frutta e verdura, al cui interno vi sono percentuali più alte del minerale, in particolare in banane, albicocche, arance, legumi, patate e spinaci. È preferibile evitare i cibi lavorati, dal momento che il processo di trasformazione industriale determina una modificazione e una riduzione dei livelli di potassio presenti all'interno dell'alimento trasformato e in genere un aumento della percentuale di sodio.

martedì 9 agosto 2011

Alzheimer, il male del Terzo Millennio.

Il World Alzheimer Report stima più di trenta milioni di persone nel mondo affette dal morbo di Alzheimer. Cifra che potrebbe raddoppiare nei prossimi vent'anni. Conosciamo bene questa malattia? Le istituzioni destinano sufficienti fondi per la ricerca?
 



Il 21 settembre è la Giornata Mondiale dell'Alzheimer. Le associazioni di tutti i paesi organizzano eventi e conferenze al fine di sensibilizzare cittadini e istituzioni. Il morbo di Alzheimer è una demenza degenerativa che distrugge progressivamente le cellule cerebrali e si manifesta maggiormente in tarda età, (anche se attualmente l'età media si è abbassata e può essere inferiore ai sessant'anni). Tra le varie forme di demenza quella di Alzheimer è la più comune. La percentuale di malati colpiti dal morbo, perlopiù nei paesi sviluppati, è proporzionale al numero della popolazione in età senile. Tradizionalmente i paesi più sviluppati hanno un numero di uomini e donne anziani sempre più elevato grazie ai progressi della medicina e quindi è stimato che nei prossimi anni i malati di Alzheimer aumenteranno sempre di più. Insomma una delle più grandi conquiste della nostra epoca, l'allungamento della vita media, è accompagnata da una malattia che devasta proprio gli ultimi anni di vita. Spesso però accade che la malattia di Alzheimer e le altre forme di demenza non siano percepite come reali malattie ma come semplice conseguenza dell'invecchiamento e questo spesso giustifica la flebile presenza di servizi sanitari ad hoc. Per comprendere meglio la malattia di Alzheimer chiediamo aiuto al Dottor Angelo Guccione, specialista in Neurologia presso FD Medical e responsabile del Centro Cefalee dell'Ospedale Niguarda.
Quali sono le cause di questa forma di demenza ?
“Dalle autopsie su malati affetti in vita dalla malattia, si è potuto riscontrare un accumulo extracellulare di una proteina, chiamata Beta-amiloide. Nei soggetti sani questa proteina produce un peptide innocuo chiamato p3. Per motivi non totalmente chiariti, nei soggetti malati si produce invece un altro peptide di 40-42 aminoacidi, chiamato beta amiloide. Tale beta amiloide non presenta le caratteristiche biologiche della forma naturale, ma tende a depositarsi in aggregati extracellulari sulla membrana dei neuroni, ossia delle cellule nervose. Tali placche neuronali innescano un processo che danneggia irreversibilmente i neuroni. Inoltre nei malati di Alzheimer interviene un ulteriore meccanismo patologico: all'interno dei neuroni, una proteina tau si accumula in aggregati neurofibrillari o ammassi neurofibrillari. Particolarmente colpiti da questo processo patologico sono le aree ippocampali. In particolare l'ippocampo interviene nell'apprendimento e nei processi di memorizzazione perciò la distruzione dei neuroni di queste zone è ritenuta essere la causa della perdita di memoria dei malati. Si è anche ipotizzata l'ingestione di alluminio come causa del morbo di Alzheimer anche se però tutt'ora non ci sono sufficienti prove, e questa ipotesi trova sempre meno credito”.
Possiamo riconoscere i campanelli d'allarme dell'Alzheimer?
“I sintomi inizialmente sono rappresentati da amnesia progressiva e altri deficit cognitivi. Il deficit di memoria è prima circoscritto a sporadici episodi nella vita quotidiana, (ricordarsi cosa si è mangiato a pranzo, cosa si è fatto durante il giorno) e della memoria prospettica (che riguarda l'organizzazione del futuro prossimo, come ricordarsi di andare a un appuntamento); poi man mano il deficit aumenta e la perdita della memoria arriva a colpire anche la memoria episodica retrograda (riguardante fatti della propria vita o eventi pubblici del passato) e la memoria semantica (le conoscenze acquisite), mentre la memoria procedurale (che riguarda l'esecuzione automatica di azioni) viene relativamente risparmiata. Ai deficit cognitivi si aggiungono infine complicanze internistiche che portano a una compromissione insanabile della salute”.
Quanti anni può sopravvivere un malato di Alzheimer ?
“La sopravvivenza in genere è abbastanza lunga se non sopravvengono complicazioni (anche decenni)”.
 
Esistono delle terapie per combattere la malattia?
“Anche se al momento non esiste una cura efficace, sono state proposte diverse strategie terapeutiche per provare a gestire clinicamente il morbo di Alzheimer; tali strategie puntano a regolare farmacologicamente alcuni dei meccanismi patologici che ne stanno alla base. Le ricerche hanno dimostrato che non vi sarebbe sufficiente aceticolina (neurotrasmettitore responsabile dell'invio dei messaggi da una cellula nervosa all'altra) nel cervello dei malati di Alzheimer. L’acetilcolina invia messaggi da una cellula all’altra e, dopo aver terminato il suo compito, viene distrutta dall’enzima acetilcolinesterasi in modo che non si accumuli tra le cellule. Gli inibitori dell’acetilcolinesterasi, sostanze che bloccano l’attività dell’enzima,mantengono la disponibilità cerebrale di acetilcolina e possono compensare, ma non arrestare, la distruzione delle cellule provocata dalla malattia”.
 
È possibile prevenire il morbo di Alzheimer?
“Allo stato attuale non vi sono comportamenti o terapie per prevenire la malattia. Riuscire a prevedere con anni di anticipo lo sviluppo della malattia potrebbe essere utile se disponessimo delle terapie atte alla prevenzione, ma allo stato attuale sarebbe un serio problema anche di etica fare queste indagini per poi dover comunicare al paziente che non abbiamo alcuna cura per prevenire l'insorgenza della malattia. Sicuramente si potrebbe fare di più se solo il governo italiano decidesse di stanziare di più sulla ricerca”.
  
10 regole d’oro
In attesa che la ricerca scopra una cura per sconfiggere la malattia di Alzheimer
si può agire sui fattori di rischio e adottare sane abitudini di vita.
1. La testa innanzitutto
La salute inizia dal cervello. È uno degli organi più vitali del corpo e ha bisogno di cure e attenzione.
2. Dal cervello al cuore
Ciò che è buono per il cuore è buono per il cervello. Fare qualcosa tutti i giorni per prevenire malattie cardiache, ipertensione, diabete e ictus: possono aumentare il rischio di Alzheimer.
3. I numeri che contano
Tenere sotto controllo peso, pressione, colesterolo e glicemia.
4. Nutrire il cervello
Assumere meno grassi e più sostanze antiossidanti.
5. Far lavorare il corpo
L’attività fisica ossigena il sangue e aiuta le cellule nervose: camminare 30 minuti al giorno tiene attivi mente e corpo.
6. Stimolare la mente
Mantenere il cervello attivo e impegnato stimola la crescita delle cellule e delle connessioni nervose: leggere, scrivere, giocare, imparare cose nuove, fare le parole crociate.
7. Avere rapporti sociali
Occupare il tempo libero con attività che richiedono sforzo fisico e mentale: socializzare, conversare, fare volontariato, frequentare un club, ritornare sui banchi di scuola.
8. Attenzione ai colpi!
Usare le cinture di sicurezza, stare attenti al rischio di cadute, indossare il casco quando si va n bicicletta.
9. Essere saggi
Evitare le cattive abitudini:non fumare, non bere troppo, non fare uso di droghe.
10. Guardare avanti
Iniziare oggi a preparare il domani.

Fonte: Alzheimer’s Association, USA

Nell'anno 2010 aborto in calo - 2,5 %

Tasso abortivita' fra i piu' bassi in Ue


Confermata la tendenza alla diminuzione dell'Ivg (Interruzione volontaria della gravidanza) in Italia: nel 2010 il tasso di abortività è risultato in calo del 2,5% rispetto al 2009 (8.5 per 1.000), con un decremento del 52,3% rispetto al 1982, anno in cui si è registrato il più alto ricorso all'Ivg (234.801 casi). Lo rileva la Relazione sullo stato di attuazione della legge 194/1978 del ministero della Salute. Il tasso di abortività in Italia è fra i più bassi tra i Paesi occidentali

domenica 7 agosto 2011

Correre per dimagrire ? Si , ma come farlo ....?

Per dimagrire si deve sudare ?

È assurdo che ancora oggi ci sia gente che pensi ciò. Basta osservare chi corre nei parchi cittadini per accorgersi che la parola d'ordine è: coprirsi e sudare il più possibile. Probabilmente si sarà gratificati quando, tornati a casa, si scoprirà che la bilancia segna anche due chili in meno, salvo poi scoprire con disperazione che la mattina dopo siamo tornati al peso di sempre. Né ha senso cercare di resistere alla sete per rendere definitivo il dimagrimento. Prima o poi ci si deve reidratare e l'illusione svanisce.

Per dimagrire si deve fare attività sportiva a bassa intensità?


Questa panzana è nata nelle palestre e in tutti quegli ambienti dove si usa il cardio fitness (per dimagrire non devo superare una certa frequenza cardiaca!); in realtà in questi ambienti si ha spesso a che fare con persone che vogliono minimizzare la fatica e ai personal trainer meno coscienziosi non par vero di riuscire a vendere una strategia che si accorda con la pigrizia del soggetto. La panzana si basa sul fatto che facendo attività sportiva a bassa intensità si bruciano preferenzialmente i grassi. Il dubbio metabolico diventa dunque il seguente: se corro forte brucio carboidrati e non grassi!
Perché molti credono veramente che la velocità di corsa sia fondamentale nel dimagrimento? In realtà è un vero e proprio test di intelligenza che non viene superato da chi ha un approccio troppo semplicistico ai problemi.
Infatti l'errore fondamentale che si commette nel ritenere che per dimagrire si debba (notare il "debba") correre piano dipende sostanzialmente da due fattori:

    Il non capire che il dimagrimento dipende dalla combinazione SPORT+ALIMENTAZIONE, quindi non ci si può fermare a ciò che accade mentre faccio sport, ma bisogna analizzare anche il "dopo".
    Il non sapere che i carboidrati assunti con l'alimentazione si trasformano in grasso se le nostre riserve di carboidrati sono già al massimo (ogni soggetto ha un massimo stoccabile piuttosto limitato, a differenza del grasso che invece continua ad accumularsi).


IL RAGIONAMENTO FONDAMENTALE! - Innanzitutto non dobbiamo considerare il nostro corpo a compartimenti stagni: sa benissimo trasformare i grassi in energia e i carboidrati in grassi. Quindi non è detto che se mangiamo carboidrati verranno immagazzinati carboidrati e se mangiamo grassi andranno necessariamente a finire nella pancetta. Il corpo usa quindi i macronutrienti per adattarsi alle esigenze energetiche.
Supponiamo che il soggetto mantenga il suo peso con 2.000 calorie al giorno, di cui 300 sono dovute all'attività sportiva. Se l'attività è blanda si bruciano preferenzialmente i grassi (la percentuale di grassi bruciata a bassa intensità è sì sensibile, ma comunque si brucia sempre una quota di carboidrati), se è intensa i carboidrati. Al che i geni pensano: perché correre forte se si bruciano i carboidrati e non i grassi? L'errore di fondo è che 300 calorie delle 2.000 che assumiamo (a prescindere dal fatto che le abbiamo assunte come grassi o come carboidrati) andranno a sostituire il substrato energetico che è andato perso con la corsa: se abbiamo bruciato grassi, le 300 calorie andranno a sostituire il grasso perso, se bruciamo carboidrati andranno a sostituire la riserva di carboidrati persa (glicogeno). In entrambi i casi il soggetto mantiene il suo peso: può dimagrire solo se assume meno di 2.000 calorie al giorno.
In altri termini:

    se corriamo molto piano bruciamo i grassi e dimagriamo perché diminuisce la scorta di grassi;
    se corriamo forte bruciamo i carboidrati e impediamo che carboidrati assunti con l'alimentazione vadano a immagazzinarsi come grasso e quindi dimagriamo perché dirottiamo i carboidrati dalla pancetta all'energia spesa per fare sport.

E se sono a dieta? - Supponiamo che il soggetto che mantiene il suo peso con 2.000 calorie decida di assumerne 300 in meno (quelle che consuma nell'attività fisica), ma faccia sport ad alti regimi bruciando perciò soprattutto carboidrati. Allora si potrebbe pensare che non ci siano calorie che andranno a sostituire la riserva di carboidrati persa; si ricadrebbe nel caso del dimagrimento fittizio: il soggetto perde peso perché svuota le sue riserve di carboidrati.
In realtà non è così: si deve infatti considerare che nelle 2.000 calorie ci sono carboidrati. A meno che il soggetto non sia masochista, se vuole dimagrire, sarà in leggero sovrappeso. Supponiamo che delle 2.000 calorie 1.200 siano di carboidrati, 300 di proteine e 500 di grassi. È il classico soggetto che segue la dieta mediterranea, con peso di 65 kg (che giustifica l'equilibrio con 2.000 calorie, di cui 300 sportive) e che dovrebbe dimagrire di 4-5 kg. In un tal soggetto la quantità di carboidrati è eccessiva (come nel 90% della popolazione) e viene quotidianamente trasformata in grasso. Infatti, il suo fabbisogno di carboidrati è di circa (2,6*P in grammi, moltiplicato 4 per avere le calorie) 676 calorie. Se risparmia 300 calorie, ne assume solo 1700 così ripartite: 1.020 di carboidrati, 255 di proteine e 425 di grassi. Dei 1.020 carboidrati assunti, 676 andranno impiegati nel metabolismo, 300 nel ripristinare le scorte e 44 saranno comunque trasformate in grasso. Rispetto alla situazione primitiva solo 44 vengono trasformate in grasso e non 344; quindi l'individuo perde grasso e non riserve di carboidrati. Morale: le 300 calorie risparmiate dirottano i carboidrati assunti con l'alimentazione dalla conversione in grasso al ripristino delle scorte di carboidrati con l'effetto che le scorte di grassi diminuiscono.
Dai conti soprariportati è anche ovvio che chi vuole dimagrire non può intraprendere sforzi mostruosi (tipo maratona) e non rialimentarsi decentemente perché altrimenti rischia di bruciare le sue scorte di glicogeno o, soprattutto, le proteine dei muscoli. Tale pericolo è però decisamente limitato dal fatto che chi è in netto sovrappeso non ha l'allenamento sufficiente per tali tipi di sforzo.
E la fame? - Alcuni sostenitori dell'esercizio a bassa intensità sostengono che correndo veloci si bruciano molti carboidrati, si abbassa la glicemia e si innesca lo stimolo della fame. Queste persone probabilmente non hanno mai fatto sport ad alta intensità e non sanno che dopo un tale sforzo il corpo è così occupato a ripristinare le risorse (tante) perse con l'attività fisica che non si ha che marginalmente fame; l'appetito arriva gradualmente e si reintegrano le (giuste) calorie poco a poco.
Invece con lo sport a bassa intensità la fame arriva subito perché l'appetito non è legato alla sola glicemia (come ingenuamente credono i sostenitori del low-training): basta considerare gli effetti di una piacevole passeggiata in montagna!

Per dimagrire si deve correre veloci?


Detto in generale, per dimagrire occorre fare la massima fatica. È l'errore opposto al precedente, di chi è convinto che si brucia di più se si va veloci (l'incremento del metabolismo basale è nella stragrande maggioranza di persone non significativo). Che nella corsa il consumo calorico dipenda solo dai km percorsi ce lo dice la fisica che mi fa sapere che il lavoro è dato dalla forza (non tanto il peso, quanto le forze meccaniche del nostro apparato locomotore per spostarlo in avanti, parallele allo spostamento; in una visione molto rozza, pensiamo a una mano che spinge il soggetto in avanti) per lo spostamento. La velocità con cui viene fatto il lavoro (la potenza) non c'entra con il lavoro totale. L'errore di ritenere importante la velocità nasce dal fatto che si confonde la potenza (lavoro nell'unità di tempo) con il lavoro. Consideriamo un campione mondiale che pesa 60 kg e in un'ora percorre 20 km. Avrà consumato all'incirca 1.200 calorie. Un principiante dello stesso peso che in un'ora percorre 10 km brucerà 600 calorie, la metà: andare più forte ti fa bruciare più calorie nell'unità di tempo. Ma se il nostro principiante percorre 20 km (ci mette il doppio del tempo: 2 ore) brucerà anch'egli 1.200 calorie.
L'uomo non è come un'auto che più va forte più i consumi aumentano: l'uomo spende per fare un km sempre la stessa energia, a prescindere dalla velocità. Quindi meglio (per il dimagrimento non per altri motivi!) fare 22 km a 5'/km che 20 a 4'30"/km.

La strategia giusta
Poiché nella corsa il consumo calorico dipende dai chilometri percorsi, è ovvio che

per dimagrire occorre scegliere la velocità che consenta di effettuare il maggior numero di chilometri nel tempo a disposizione.
NOTA - La frase precedente non deve interpretarsi come il consiglio di partire a palla e cercare stoicamente di resistere. Vuol dire trovare la distribuzione dello sforzo che, in base al proprio grado di allenamento, ci consenta di percorrere la strada più lunga. Per esempio il principiante che non ha nelle gambe un'ora di corsa, ma ha a disposizione un'ora, alternerà corsa e cammino in modo da massimizzare i km percorsi.
In quest'ottica l'abbigliamento deve essere il più leggero possibile: coprirsi troppo per sudare è un altro errore fondamentale perché il sudore perso si recupera subito nella giornata bevendo, ma la spiacevole sensazione di caldo ci ferma prima e ci fa fare meno chilometri.

sabato 6 agosto 2011

Attività fisica per combattere lo stress

Lo stress è l’insieme dei problemi, delle preoccupazioni e delle emozioni che quotidianamente dobbiamo affrontare, relativamente al lavoro, alla famiglia, al denaro, ai traumi, alle malattie e a tutto ciò che può addurre tensioni.

Il corpo umano, per affrontare i molteplici attacchi di stress, mette in moto un meccanismo di autodifesa, ereditato dai tempi preistorici, che comporta il rilascio di una sostanza di natura ormonale: l’adrenalina.

L’adrenalina, prodotta dalle ghiandole surrenali, determina tra l’altro: un effetto tonico sul cuore, la dilatazione della pupilla oculare, l’allargamento dei bronchioli, l’innalzamento della glicemia nel sangue e l’aumento della pressione arteriosa. Uno stimolo esterno, che ne provoca l’immissione nel circolo sanguigno, è costituito, come appena descritto, da una situazione di pericolo e minaccia a cui veniamo esposti. Il corpo umano, con l’adrenalina, otterrà un aumento del livello di energia da cui poter attingere per battersi con il nemico o per fuggire. Si pensi per esempio ad un uomo primitivo costretto a fronteggiare un grosso animale.

Il problema dei giorni nostri è che, il rilascio di adrenalina, in genere, non è seguito dallo scarico di tutto questo surplus energetico, infatti, per esempio, nell’ambiente di lavoro, non si può certo rispondere ad un attacco verbale con la violenza, e nemmeno con la fuga, come del resto, anche nelle altre situazioni in cui si è soggetti a forte pressione: vedi traffico cittadino e particolari condizioni familiari ed economiche.

Ecco spiegato l’importante ruolo dell’attività fisica per combattere gli effetti negativi dello stress, infatti, il lavoro muscolare quotidiano risulta essere di notevole aiuto per migliorare il livello di tolleranza e per scaricare le tensioni. Tutto ciò che mantiene attivi corpo e mente può servire a tollerare meglio lo stress quotidiano.

Attenzione, però, a non eccedere nell’agonismo, la competizione può trasformare un’attività ricreativa in un lavoro faticoso e stressante, in ogni caso è sempre utile mantenere un atteggiamento mentale sereno nei confronti di una eventuale sconfitta.

La capacità di tollerare una certa quantità di stress è prettamente soggettiva, varia da individuo ad individuo. I sintomi dovuti all’accumulo sono:

    - una costante stanchezza,

    - una condizione di facile irritabilità,

    - l’insorgere dell’insonnia,

    - l’insorgere di disturbi digestivi (per esempio ulcera e colite)

    - la tachicardia,

    - un persistente mal di testa,

    - la pressione alta,

    - la lombalgia,

    - un indebolimento del sistema immunitario, che può portare a malattie virali, allergie, infiammazioni e altro.

Quando si parla di accumulo si fa riferimento ad una specie di memoria dell’organismo rispetto ai fattori di stress. Il superamento di una problematica, che ci aveva indotto stress superiore alla nostra capacità di adattamento, con risvolti patologici annessi, porta alla scomparsa di tali effetti negativi sull’organismo, ma lascia comunque una traccia. Il manifestarsi di un nuovo fattore di stress causerà problemi sia per la situazione presente, sia per le tracce rimaste in memoria, ne consegue che l’esaurimento fisiologico sarà sempre più facile a mano a mano che si allunga la catena degli eventi che determinano stress. Ecco l’importanza di una eliminazione quotidiana degli effetti dello stress e quindi dell’attività sportiva.

Inizialmente i problemi legati allo stress possono essere o fisici o psichici, con il perdurare e con l’accumulo, si arriva ad una coesistenza dei due tipi di sintomi, che si influenzeranno a vicenda, costituendo un vero proprio circolo vizioso.

    I fattori che determinano stress possono essere suddivisi, in base alla tipologia di attacchi che apportano, in:

    - cause mentali, sia emotive che psicologiche;

    - cause fisiche, come il sovrallenamento o l’utilizzo non omogeneo ed armonico dei muscoli;

    - cause chimiche, da imputare ai problemi derivanti dal degrado dell’ambiente, dall’uso sconsiderato di farmaci e dall’abuso di alcol;

    - cause termiche, come, per esempio, i repentini sbalzi di temperatura.